Oggi iniziano le scuole.
Il primo giorno di scuola, anche
dopo tanti anni, è sempre un’emozione; lo era quando ci andavo da studentessa e
lo è ritornandoci da professoressa. Sono una di quelle persone, poche credo,
che amavano andare a scuola e che, da un certo punto in poi dell’estate, non vedevano che finissero
le vacanze per tornare tra i banchi.
Non che fossi una secchiona, anzi
non studiavo nemmeno tanto in verità, ma per me, come per molti tra quelli
cresciuti in una grande città, la scuola era l’unico momento di socializzazione
con i coetanei, almeno fino alle medie. Quindi evviva la scuola!
E il primo giorno? Forse non
molti si ricordano il primo giorno in assoluto di scuola, la prima volta in
prima elementare; io sì, è stampato indelebile nella mia mente come uno dei
peggiori incubi che si possano vivere, e sicuramente se lo ricorda mio papà al
quale non manco mai di rinfrescare la memoria.
Già perché tutti gli anni, il
primo giorno di scuola, gli telefono e gli ricordo che cosa mi ha combinato il
18 settembre 1977! (e poi dicono che le donne non dimenticano…)
Siete curiose?
La storia ha inizio nel giugno
del 1977, l’asilo finisce e io vengo portata dalla nonna paterna (era lei che
aveva l’ultima parola su tutto, almeno nei miei ricordi) in un negozio, forse
l’Upim, ma potrei sbagliare, per comprare la cartella e l’astuccio per andare
alle elementari. Ero la nipote più grande, quindi che qualcuno avesse cartella
e astuccio in casa costituiva un evento ed il primo passo verso la maturità.
Viene scelta per me, non da me ma questo non era un grosso problema,
un’accoppiata cartella/astuccio di cuoio da spavento; la cartella era di quelle
rettangolari con i ganci di metallo per chiuderla e anche gli spallacci di
cuoio agganciati con delle specie di moschettoni. Insomma una di quelle
cartelle nate per durare almeno cinque anni se non di più.
Dopo l’acquisto l’astuccio viene
messo nella cartella e la cartella viene riposta nell’armadio in camera dei
genitori dove io, almeno una volta al giorno, andavo a visionarla (e adorarla)
di nascosto. Praticamente una tortura cinese che se noi infliggessimo ai nostri
figli questi non esiterebbero a chiamare il telefono azzurro.
Arriva settembre e con esso il
fatidico primo giorno di scuola. Non so come succeda adesso, ma ai tempi, alla
Dante Alighieri di via Mac Mahon (per tutto il corso delle elementari non sono
riuscita a capire se andavo alla Dante o alla Mac Mahon, ma preferivo la Dante
perché l’altra era difficile da scrivere) i genitori non angosciavano le segreterie
per sapere in anticipo in che classe, con che maestra, con quanti e quali
compagni, a che piano e con che bidello sarebbe stato il figlio; non venivano
fatti inserimenti, accompagnamenti, accoglienze, presentazioni e quanto altro.
Il primo giorno di scuola funzionava più o meno così: si andava in palestra,
c’era la riga di mezzeria del campo di palla a mano, da una parte le maestre,
dall’altra i bambini con un genitore (non la mamma, il papà, la nonna, lo zio
ed il cugino con la videocamera). In mezzo il direttore con gli elenchi. Il
bambino veniva chiamato, passava dall’altra parte della riga e, a classe
completata, seguiva la maestra in classe.
Diciamo che probabilmente sarebbe
andato tutto bene se ad organizzare il mio primo giorno ci fosse stata la
mamma; sfortunatamente la mamma era a letto con la broncopolmonite e il tutto è
passato a gestione paterna, e qui il dramma. Il mattino del 18 settembre 1977
alle ore sette e trenta, dopo tre mesi di relazione segreta con astuccio e
cartella, mi viene comunicato che il primo giorno di scuola si va senza
cartella, perché tanto non si fa niente e quindi la cartella non serve.
Immaginatevi.
Purtroppo noi bambini degli anni
settanta non eravamo ancora avvezzi al capriccio o forse erano i genitori degli
anni settanta che non lo erano; comunque, sapendo in anticipo che il capriccio
non avrebbe funzionato, accetto la situazione e mi adatto. D’altra parte mio
papà ci è andato a scuola, e pure per tanti anni, saprà quello che dice no?
Per arrivare alla palestra della
Dante occorreva percorrere tutto il giardino, dalla strada sul retro del
maestoso edificio ottocentesco, circa un paio di centinaia di metri in tutto.
Io ho percorso quei duecento metri osservando prima, cercando poi, pregando
alla fine. Ho fissa nella mente ancora l’immagine di quella massa di bambini
con cartella che mi precedevano, cartelle di tutte le forme e colori, cartelle
che camminavano verso la palestra, cartelle da tutte le parti. Credo di aver
analizzato ogni singolo bambino quella mattina (e tenete conto che eravamo nove
sezioni da trenta bambini) ogni essere con grembiule di altezza inferiore al
metro e trenta aveva una cartella sulle spalle, tutti tranne la sottoscritta.
Dal mio punto vista ero stata sottoposta ad un suicidio sociale forzato, credo
di non essermi mai più sentita tanto inadeguata in tutta la mia vita.
L’unica cosa che poteva ancora
consolarmi era la consapevolezza che tutti si stavano portando una cartella
sulle spalle inutilmente, il papà l’aveva detto che il primo giorno di scuola
non si fa niente no?
Bene, arriviamo in classe,
prendiamo posto e la maestra Giovanna
Esposto dice: “Prendete foglio e matite e fate un disegno!” Ecco. Poi dicono
che una ha gli incubi per tutta la vita e sogna che gli manca qualcosa!
Fortunatamente la mia compagna di
banco, come più della metà dei bambini della classe, piangeva disperata per
essere stata abbandonata dalla mamma a quella sconosciuta della maestra. In
effetti la classe era divisa tra quelli che avevano già fatto tre anni di
asilo, tra i quali la sottoscritta, che non piangevano e che guardavano
esterrefatti l’altra parte della classe composta da bambini che fino al giorno
prima erano stati a casa con la mamma e che piangevano disperati.
Insomma la mia compagna piangeva
e io ho avuto la prontezza di chiederle: “Visto che piangi e non disegni mi
presti foglio e astuccio?” Così ho salvato capra e cavoli prima che la maestra
scoprisse che ero senza cartella.
Ovviamente un’esperienza
traumatica come questa non poteva non avere le sue belle conseguenze e c’è chi
sostiene che la mia scelta di votarmi all’insegnamento sia una sorta di catarsi;
senza scomodare i greci, comunque, ditemi voi se ho torto o meno a pensare che
i seguenti miei comportamenti deviati siano da attribuire a questo episodio:
1) Prima
di partecipare a qualche evento particolare cerco di capire come sono vestiti
gli altri partecipanti (se non ne ho la possibilità obbligo mio marito a vestirsi
sullo stile che scelgo io).
2) In
vacanza parto sempre con valigie enormi con abiti per tutte, ma proprio tutte
le evenienze (dalla spiaggia alla montagna, dalla spesa al red carpet) più
qualcuno di sicurezza.
3) Quando
abbiamo avuto il terremoto (il nostro piccolo locale 4.2 con epicentro a 100 m
da casa nostra) mi sono tranquillizzata solo dopo aver preparato una valigia
con cambio completo e maglioni per tutta la famiglia.
4) Non
sono in grado di uscire di casa senza borsa o con borse minuscole, la mia borsa
deve sempre contenere i basilari:
1.
Portafoglio con documenti e CF miei e dei
bambini
2.
Cellulare con carica batterie
3.
Occhiali da sole anche se piove
perchénonsisamaichepoiescailsole
4.
Astuccio medicinali base (saridon, dissenten,
aspirina, citrosodina)
5.
Fazzoletti di carta
6.
Tovagliette copri water
7.
Liquido disinfettante per le mani
8.
Cicche
9.
Foulard per il collo soprattutto contro l’aria
condizionata
Più alcuni stagionali come anti
zanzare e crema solare d’estate e stelline per scaldare le mani e guanti
d’inverno.
Ovviamente i miei figli, per il
primo giorno di scuola hanno le loro belle cartelle nuove di zecca (qui e qui)
ed i loro astucci anche se non richiesti (qui). Io andrò a scuola domani
(mercoledì libero) con il mio bel borsone pieno di tutto il necessario e anche
di più e per ogni evenienza oggi mi sono già fatta consegnare il registro che
ho già riposto nel mio cassetto insieme ad una penna.
a presto!
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