lunedì 29 luglio 2013

Esami a settembre e lamenti di una professoressa


Avvertenza: consigliato per stomaci forti o per insegnanti
Un articolo sugli esami a settembre scritto da una professoressa che a settembre è sempre stata rimandata, che ne dite? Invece no. Inizia così e, ve lo dico già, si conclude con un mio sfogo contro i genitori. Sappiatelo prima di cominciare a leggere, siete avvisate!
Gli esami a settembre




Devo dire che in effetti di esami a settembre me ne intendo abbastanza, sia perché essendo un’insegnante li devo prevedere per alcuni alunni, sia perché li ho sostenuti io stessa quando frequentavo le scuole superiori.
Per un certo periodo di tempo sono anche stati eliminati e sostituiti con i debiti formativi che i ragazzi si trascinavano sul groppone anche per cinque anni e che contribuivano non poco al loro insuccesso scolastico.

Ma gli esami a settembre servono?
A me sono serviti, ho preso matematica per due anni di seguito e poi, andando a ripetizioni – seriamente - l’ho finalmente capita; gli esami a settembre sono stati la mia occasione per risolvere un conflitto tra me e la matematica che durava dalle scuole elementari; il primo passo verso la mia futura carriera scolastica, verso la facoltà di ingegneria e l’insegnamento di una disciplina (topografia) che ha proprio la matematica come suo elemento fondante.

Figuratevi quindi come la prendo quando sento che qualcuno si lamenta che il figlio è stato rimandato a settembre malgrado avesse ben cinque e mezzo! Ma affrontarla come un occasione no? Ma vuoi davvero che tuo figlio sia uno da cinque e mezzo o speri in qualche cosa di più per lui? Cosa? Lui proprio quella materia non la capisce? Non è una scusa per non studiarla!
E qui inizia lo sfogo

Lo so, forse la faccio facile, ma a parte la mia esperienza personale, di ragazzi ne ho visti passare tanti e volete sapere quali sono veramente quelli che non hanno la speranza di imparare qualche cosa di più? Quelli per i quali il cinque e mezzo svogliato (svogliato perché poi c’è il cinque e mezzo conquistato con il sudore che è tutta un’altra storia) è abbastanza? Sono i ragazzi che hanno i genitori che li assecondano, che li tengono nella bambagia e che li giustificano.
Forse è una giornata in cui sono in vena di lamentele, ma scusate, ai nostri tempi (come diceva la mia nonna) i professori avevano sempre ragione o mi sbaglio? Un insegnante poteva entrare anche in classe a menar le mani e a casa ci dicevano che sicuramente avrà avuto le sue ragioni. Non dico di assecondare certi atteggiamenti estremi, anzi, ma oggi i genitori vengono a giustificare i figli davvero per tutto e noi, come quando eravamo ragazzini, sempre dalla parte del torto!

Poco prima della fine della scuola una mamma è venuta a lamentarsi perché avevo dato un due alla sua bambina (quinta superiore) che aveva consegnato il compito in bianco, perché insomma il due è proprio demotivante, secondo lei avrei dovuto darle almeno quattro! Sarà che verso maggio tendo a perdere la pazienza, ma non ci ho visto più e, se di solito li tratto comunque con il sorriso, a questa donna ho proprio risposto! Signora come crede mi senta motivata io a vedermi consegnare una verifica in bianco ad un mese dagli esami dopo tre anni che le insegno questa materia? Se fossi in lei più del fatto che sua figlia ha preso due mi preoccuperei del fatto che non sa un acca di quello che le serve per gli esami e non perché non ci arrivi, semplicemente perché non studia. Potrei anche darle quattro, magari anche sei, pensa che cambierebbe qualcosa nella preparazione di sua figlia? Forse passerebbe solo il messaggio che studiare non serve a nulla o almeno non è indispensabile per essere promossi!
Lo so che adesso ci sarà uno stuolo di mamme che dirà che insomma certi professori non sanno spiegare, altri danno i voti solo guardando in faccia i ragazzi, altri non danno mai voti superiori al sette, ed altri ancora ce l’hanno con i loro bambini. Mettiamoci poi che i compiti delle vacanze sono troppi, che i professori lavorano solo mezza giornata (magari! Care nottate a correggere e preparare verifiche) e hanno tre mesi di ferie (magari per me dal 12 luglio al 25 agosto per la precisione e mai nel periodo in cui costa meno andare in ferie) e andiamo tutti insieme alla fiera del luogo comune!

È vero che ci sono docenti poco professionali, non tutti, non la maggior parte, come in tutte le professioni. Abbiamo studiato la nostra disciplina e, oltre a saperla spiegare alla perfezione con gli strumenti che la scuola ci da (?) ci dobbiamo improvvisare psicologi, sociologi, genitori, sessuologi, guide turistiche, sorveglianti, educatori, tenere sotto controllo casi sospetti di depressione, bulimia, anoressia, attacchi di panico, violenza in famiglia e chi più ne ha più ne metta; scusateci se non siamo perfetti nell’assolvere tutte queste mansioni, ci proviamo senza esserne stati formati, almeno io ci provo insieme ai miei colleghi. È sempre stato così? Sì, certo, anche quando andavamo a scuola noi e forse i nostri genitori ; ai professori era richiesto tanto, ma le famiglie forse lo capivano di più. I genitori e la scuola erano complici nell’educazione dei ragazzi e non antagonisti. Credo che sia questo il vero nocciolo della questione, il problema per cui insegnare diventa ogni giorno più difficile.
Certo, anche i genitori non sono tutti così. Ne arrivano anche di veramente interessati alla crescita del proprio figlio, di quelli con i quali si può lavorare e non serve conoscerli personalmente, già guardando il comportamento dei ragazzi in classe e l’atteggiamento che hanno nei confronti della scuola si capisce. Quando poi arrivano al colloquio hai solo delle conferme di qualche cosa che sai già.

Tra qualche settimana sarò anche io dall’altra parte della barricata e allora si vedrà. Quando Barbabella inizierà la scuola primaria magari sarò anche io sempre dalla maestra a lamentarmi di questo e di quello, a giustificarla quando non ha fatto i compiti o a tenerla a casa quando non se la sente di andare a scuola. Che dire? Chi vivrà vedrà, vi aggiornerò.

A presto e scusate lo sfogo!

venerdì 26 luglio 2013

101 cose su di me ... nona puntata


Con un po’ di ritardo questa settimana arrivo anche io al linky party di Alex. Per il penultimo appuntamento vi ho riservato tutti i miei non mi piace e non faccio, altri ne arriveranno settimana prossima perché sono ben più di dieci.

1.       Odio le calze. Non mi piace indossarle e sono il primo indumento che mi tolgo appena rientro in casa.

2.       Non mi piace cucinare la carne. In realtà mi dà poca soddisfazione anche mangiarla, preferisco di gran lunga pesce e primi piatti.

3.       Non mi piacciono i film drammatici e gli horror. Evviva le commedie romantiche, ma anche i gialli ed i thriller hanno il loro fascino.

4.       Non tocco una sigaretta da sei anni.

5.       Non sopporto l’ignoranza (non quella di chi non ha studiato, ma quella di chi non vuole aprile la propria mente) e la maleducazione.

6.       Non mi piace passare le vacanze al mare: dopo due giorni mi stufo di stare in spiaggia, starmene seduta sul lettino per ore ed ore mi fa pensare ad una grandissima perdita di tempo. Tempo in cui si potrebbero fare mille e mille cose. Se siamo via con amici è diverso, ma il lavoro a maglia o all’uncinetto sono sempre pronti nella borsa.

7.       Non mi arrabbio mai con i miei alunni, sul serio dico, e non provo mai risentimento per quello che dicono o fanno. Evito di prenderla sul personale. Ma a loro ovviamente faccio delle belle scenate, non voglio mica farmi mettere i piedi in testa!

8.       Non ho mai veramente traslocato da casa di mia mamma. La mia camera è ancora là, quasi intonsa.

9.       Non riesco più a fare a meno dello smart phone. Che tristezza!

10.   Non sopporto di vedere i genitori che viziano i bambini e si lasciano trattare come pezze da piedi perché non riesco a non pensare a come quei bambini saranno da grandi.

Ecco qui le puntate precedenti

A presto!

mercoledì 24 luglio 2013

Come piegare i vestiti da riporre in valigia o nei cassetti


Sono entrata in un gruppo su facebook in cui il comun denominatore delle adepte è l’ordine. Confesso, ma voi lo sapete già, che l’ordine e la pulizia della casa non sono proprio il mio forte, eppure i post di queste donne mi attirano come le mosche la carta moschicida. Vedere le loro dispense, i loro ripostigli ed i loro cassetti perfettamente ordinati mi dà un senso di sollievo: allora è possibile!
Dopo una prima fase di ammirazione ho cominciato a copiare qualcuna delle loro idee - quella per piegare gli strofinacci da riporre nel cassetto della cucina è fantastica e ve ne parlerò – solo piccole cose che però, devo dire, fanno la differenza. Presa dalla foga riordinatrice ho cominciato anche a cercare idee sparse per il web e mettere insieme le varie tecniche finché ne ho adottata una che supera di gran lunga i rotolini che facevo con le magliette. Questo nuovo metodo è molto interessante perché oltre a ridurre lo spazio occupato dai capi vi consente di averli sempre in ordine nei cassetti, una volta piegato l’indumento non si si dispiegherà più, nemmeno se andranno a metterci le mani bambini o mariti. Provate!

Il metodo è semplice, qualunque capo di abbigliamento che si vuole riporre nel cassetto deve essere piegato tenendo come riferimento la larghezza dell’apertura (collo per le magliette, vita per i pantaloni), poi si piega il resto del capo e lo si infila all’interno. Non si capisce niente? Poco male, perché ho girato un video tutorial per spiegarvi bene come si fa. Se poi vi piace l’idea potete copiarla o continuare a cercare nel web fino a sviluppare un vostro metodo!



a presto!

domenica 21 luglio 2013

Un milione e ottocentomila passi



La copertina del libro
Ho letto un libro bellissimo e lo voglio condividere con voi. Non ho mai scritto la recensione di un libro e non intendo cominciare adesso, voglio semplicemente parlarvi di una storia vera, scritta dalla donna che l’ha vissuta e che mi ha coinvolto tantissimo.
Si tratta di “Un milione e ottocentomila passi” sottotitolo “Io, il mio bambino e il Cammino di Santiago” di Elisabetta Orlandi. A questo punto quelle di voi, la maggior parte suppongo, che sanno già che io sono fissata con il Cammino di Santiago ha il mio permesso di allontanarsi, mi dispiace, forse sembra che io scriva sempre di quello, non so che fare, ce l’ho in testa e ce l’ho nel cuore, rassegniamoci.

Ma torniamo al libro. Elisabetta è una ragazza di Verona che nel 2006 ha deciso di intraprendere il pellegrinaggio verso Santiago de Compostela insieme al suo bambino di otto anni Johann; nel libro racconta la storia di questa avventura straordinaria vissuta con semplicità e gratitudine per ogni cosa, bella o brutta, affidando ogni suo passo ed ogni passo del suo bambino a Él de arriba.
Per chi come me è stato sul Cammino, è una storia in cui si racconta, come attraverso delle fotografie, di posti che si conoscono, di luoghi in cui ci si è fermati, in cui abbiamo mangiato, dormito, pianto per il dolore o sorriso per un fiore nel campo. Un racconto in cui conosci già i luoghi in cui i due protagonisti stanno per arrivare prima ancora che lo sappiano loro e mentre lo leggi vorresti urlargli i tuoi consigli: “attenta, prendi l’acqua che nel prossimo pueblo la fuente non è potabile!” oppure: “mettigli il vix vaporub a quei bei piedini, non fargli venire le vesciche!”, “non fermarti a Burgos, tira avanti!”. Insomma davvero qualche cosa di coinvolgente.


La Meseta tra Burgos e Hontanas
Ma anche per chi non sa neppure che cosa sia il Cammino di Santiago penso che possa essere bellissimo leggere del rapporto tra questa madre ed il suo bambino, un rapporto di gratuità totale. Una madre che vede il figlio andare, che vuole che vada, che non cerca di trattenerlo a sé, ma vuole che vada per la sua strada; che lo mette sul Cammino perché impari a camminare da solo e, dopo avergli insegnato a camminare già una volta quando era piccolino, gli insegna nuovamente come si cammina nella vita.
E poi ci sono tutti gli elementi in cui ogni pellegrino potrà riconoscersi e che forse sono gli aspetti che attirano tutti gli altri su questo mistico percorso. Ci sono gli amici (angeli) che si trovano lungo la strada e poi si perdono per ritrovarsi più avanti, o forse mai più (come nella vita). C’è la zavorra che ci trasciniamo sulle spalle, tutto ciò che ci sembra indispensabile e che dopo due soli giorni di cammino diventa un pacchettino da rispedire a casa o regalare a chissà chi. C’è la natura in cui si cammina e che ci fa sentire dei disadattati ogni volta che si rimette piede in una città, la natura che ci fa essere parte di essa e che ci sembra il dono più bello che Qualcuno potesse farci:

“…Poi, l’obiettivo indugia su un’esile pianta d’avena selvatica, cresciuta sul ciglio della strada, e ritrae un istante di pura bellezza: la perfetta composizione del fusto sottile e dei rami delicati, le spighette appese come fragili decorazioni, il contrasto tra il suo brillante colore smeraldino e l’oro del campo sullo sfondo. Sarà il mio gioiello di oggi, un piccolo capolavoro di equilibrio ed eleganza che indosserò con lo sguardo e restituirò al mondo sotto forma di sorriso.
La sottoscritta a Tardajos
Ci sono la fatica ed il dolore fisico, le ampollas e le rodillas: Lo zaino sembra più pesante oggi e la fatica della recente salita mi appesantisce le gambe. Però io amo questo cammino, ne amo ogni singolo passo, ogni pietra, ogni spiga di grano. Non rinuncerei a niente, a nessun grammo di fatica, a nessun sassolino. È il nostro Cammino, ci aspetta”.

E poi c’è la meta finale, ma forse la vera meta è il cammino stesso.

Camminare, mettere un piede dopo l’altro, banalmente, e dirigersi verso una meta: però questo Cammino mi porta verso il mio proprio centro, si spinge all’interno, verso l’anima, il cuore. Lì non c’è mappa che valga, non c’è guida che conosca la strada e mi indichi dove si trova il rifugio, la fonte d’acqua, il cibo. Lo devo trovare da sola. Magari non sarà un viaggio piacevole, o facile. Ma adesso, per me, è irrinunciabile, anche se non ho ancora capito perché.”
Arrivo alla Plaza de Obradoiro davanti alla Cattedrale di Santiago
Insomma un libro non solo ad uso dei pellegrini, ma, come si augura Elisabetta nella prefazione, per tutti. E poi, se è vero che si diventa pellegrini nel momento stesso in cui si pensa di voler fare il Cammino, molti di coloro che lo leggeranno entreranno immediatamente nella schiera de los peregrinos de Santiago de Compostela.

Aggiungo infine che io ho letto praticamente ogni pagina con grande commozione e, in alcuni casi, le lacrime agli occhi. Sono innamorata del Cammino, sapete che io l’ho cominciato e ho dovuto interromperlo ad Hontanas per motivi di salute, ma da allora ed uno dei miei più grandi desideri è poterlo fare fino in fondo, poterci tornare non appena le condizioni familiari lo permetteranno. Per ora i miei bambini sono piccoli, ma ho sempre desiderato percorrerlo con loro, se vorranno accompagnarmi; pensavo di dover attendere che avessero una quindicina d’anni, ma il grandissimo Johann e la sua mamma mi hanno fatto riconsiderare tutta la faccenda!
Ultreya!

giovedì 18 luglio 2013

Scegliere il nome del bebè


Quali nomi vi piacciono? Come lo chiamereste il vostro bambino?

Io qualche tempo fa ho detto ai miei figli che se avessi avuto un’altra bambina mi sarebbe piaciuto chiamarla Carlotta (nome che per altro mio marito detesta, ma questo è secondario) e mia figlia mi ha guardato con due occhioni ed un gran sorriso e mi ha detto con candore: “Mamma, non serve che fai un’altra bambina, se vuoi chiamarmi Carlotta ti rispondo lo stesso!” Come dire che per lei essere in due ed più che sufficiente!



Disquisizioni sulla pianificazione demografica familiare a parte voi ci pensate ogni tanto a quali sono i nomi che vi piacciono? Io ci penso da quando ho cominciato a dare i nomi alle mie bambole e le mie preferenze sono cambiate nel tempo. Alcuni dei nomi che avevo pensato quando aspettavo i miei bambini già non mi piacciono più! Ma che cosa ci influenza?
L’unica cosa che per me non è mai cambiata negli anni è che preferisco i nomi italiani e che non amo i nomi di moda, ma ci sono, almeno per me, anche altri condizionamenti; vi faccio un paio di esempi.

Inevitabilmente un nome ci rimanda al personaggio che lo porta, se chiamate una bambina Antonella inevitabilmente troverete la vecchietta in coda al supermercato che, dopo averle chiesto il nome vi sorride e vi dice: “Che brava, anche a me piace tanto la prova del cuoco!”. Provate a chiamare un bambino Silvio e vedrete le reazioni! Ci sarà pure qualcuno a cui piaceva il nome Silvio e ha deciso di rinunciarvi per cause di forza maggiore. A me per esempio un nome che piace tantissimo e che se avessi un altro maschietto vorrei dargli è Lapo; a chi pensate se vi dico Lapo? La mente vola subito ad un riccone dalle dubbie facoltà intellettive e dall’indiscutibile ignoranza per la nostra amata lingua, o sbaglio? È vero che forse la generazione dei nostri figli non saprà più di chi si tratta ma noi mamme sì. E allora? Probabilmente rinuncerei al nome ed odierei ancora di più il personaggio.

Un altro tipo di condizionamento che ho subito personalmente riguarda invece la cerchia dei conoscenti. Se per la prima figlia il nome era stabilito sia nel caso fosse maschio che nel caso fosse femmina, per il secondo si sapeva quello maschile ma c’erano delle forti indecisioni sul femminile. Uno dei nomi che ci piaceva era Lucilla, ma appena l’abbiamo detto in famiglia (anche per fare una statistica di gradimento lo confesso) mia sorella ha detto che le faceva venire in mente un personaggio tipo la Jessica di Carlo Verdone; beh non sono più stata in grado di pensarlo su mia figlia, non perché non mi piacesse più, ma per l’idea che qualcuno potesse associarla a quel personaggio un po’ volgare.

C’è poi la lista infinita di nomi che piacevano a me e che mio marito non voleva nemmeno sentire, tutti femminili e tutti, diciamolo, un po’ strani; che ne dite, solo per citarne alcuni, di Tecla, Eugenia, Petra e anche Emilia perché no?

Anche sul quado scegliere il nome l'Italia si divide, da chi vuole aspettare per decidere quando vedrà il bimbo in faccia a chi lo ha stabilito ancora prima della nascita. Io appartengo alla seconda categoria, infatti non resisto all'idea di essere incinta e non sapere come si chiama la mia pancia. Non mi piacciono i nomignoli che si danno nell'attesa ed i miei figli hanno avuto il loro nome fin dal giorno del concepimento
Insomma, anche se non vi dico come li ho chiamati alla fine avrete capito che se li chiamo al parco giochi arrivano solo loro due, che hanno nomi italiani e, questo lo aggiungo io, antichi ed un po’ desueti, almeno in certe zone d’Italia.

E a voi? Quali nomi piacciono?
Se volete sapere come la pensano gli italiani e vi serve qualche idea in proposito leggete il mio nuovo articolo su Unadonna.it!

A presto!

mercoledì 17 luglio 2013

le 101 cose su di me... ottava puntata


Oggi, per l’ottava puntata del linky party di Alex, sarò più sintetica del solito, se possibile, ma non amo tergiversare e mi piace che passi subito il concetto arrivando immediatamente al sodo. Ecco quindi i miei ottavi dieci punti.




1.       Tutte le mie macchine hanno un nome (alcune anche un cognome)

2.       Kristin Lavransdatter è uno dei miei libri preferiti

3.       Odio buttare via cose che poi potrebbero servirmi ancora

4.       Nel mese di luglio abbandono mio marito e vado in vacanza con i figli

5.       Adoravo sciare e non avrei potuto immaginare di rinunciarvi. Sono più di sei anni che non tocco gli sci

6.       A Verona mi dicono che si sente dal mio accento che sono di Milano, a Milano mi dicono che si sente dal mio accento che abito a Verona

7.       Ogni anno tento di organizzare una vacanza in camper, ma non riesce mai ad andare in porto


8.       Prendo decisioni definitive e poi cambio idea

9.       Per il matrimonio di due amici ho fatto una crostata di frutta di 2,5 m per 1.50. Pure buona

10.   Adoro facebook perché mi permette di continuare a seguire i miei alunni che diventano grandi

Se volete leggere le puntate precedenti guardate qui

lunedì 15 luglio 2013

Abito per bambina con tessuti americani


Le americane sono le numero uno per quanto riguarda i vestitini un po’ stile country e, anche se alcune sono molto generose nelle spiegazioni, altre ne sono avare e pubblicano fantastiche foto con l’invito ad acquistare il pattern dell’abito in questione.

Per questo motivo io mi attrezzo osservando accuratamente le fotografie pubblicate nei vari blog e quello che non si vede lo invento. Questo è più o meno quello che è avvenuto per questa coppia vestito/top realizzata con due scampoli di tessuti americani ed un pezzettino di piquet bianco.

Come al solito, la stragrande maggioranza dell’effetto è dovuta all’accoppiata delle stoffe e vi confesso che quando entro nel negozio sosto delle ore davanti al banco dei tessuti americani accostandoli, spostandoli, girandoli, cercando di vedere l’effetto che fanno le varie combinazioni e sono la disperazione delle commesse anche se alla fine, ve lo assicuro, rimetto tutto a posto.



Molto semplicemente si tratta di uno scamiciato chiuso sulle spalle con dei bottoni (qui la spiegazione dei bottoni);
la parte dietro è realizzata con lo stesso tessuto della parte centrale davanti, mentre i laterali davanti sono eseguiti con il tessuto in contrasto.
Questa scelta è stata fatta proprio perché essendo scampoli non avevo la metratura necessaria per fare quello che l’originale richiedeva; in realtà infatti la parte dietro ed i laterali avrebbero dovuto essere dello stesso tessuto e la parte centrale del davanti fatta con il tessuto in contrasto.

Per realizzare la parte centrale ho prima fatto l’arricciatura nel piquet. Si devono cucire delle linee con un cotone in contrasto tenendo il punto piuttosto lungo e senza ripassare all’inizio ed alla fine per chiudere il filo, una volta terminate tutte le righe si devono tirare i lembi di cotone alle estremità in modo da far arricciare il tessuto in maniera più o meno omogenea e quindi cucirci sopra con il filo bianco affrancandolo all’inizio ed alla fine, a questo punto il filo a contrasto può essere eliminato.






Per la parte centrale più bassa, invece, si deve prevedere un rettangolo lungo circa il doppio di quello che si prevede che serva alla fine. Con gli spilli sollevate e fermate delle strisce che aumentano di spessore scendendo, poi cucitele in questo modo.

A questo punto bisogna fare delle cuciture in verticale in modo da piegare i piccoli lembi di tessuto prima da una parte e poi dall’altra in modo che diano l’effetto finale che si vede nelle foto.





Ora si possono assemblare tutte le parti, prima i quattro pezzi del davanti, due laterali e due centrali (sopra e sotto), poi il davanti deve essere cucito al dietro facendo infine l’orlo. Per il collo e gli scalfi ho semplicemente ripiegato all’interno il tessuto già presente.

Forse la spiegazione non è chiarissima, ma le foto saranno senz’altro più esaustive.

A presto!

giovedì 11 luglio 2013

Borsa a tracolla con cuscino e telo mare: video tutorial


Per tutte le donne che, come me , vanno in giro con mille cose tra mani e braccia come un equilibrista, per tutte le donne che, come me, odiano fare più giri per trasportare tutto ciò che serve, per tutte le donne che, come me, amano il relax senza per forza dover ricorrere alle spiagge attrezzate all’ultimo grido… ecco a voi il mio cuscino, borsa, telo mare tutto incorporato.


È il mio ultimo prototipo e si tratta effettivamente di una borsa con gradi tasche per portare un libro o una rivista, occhiali, crema solare, cellulare e chi più ne ha più ne metta; al suo interno si trovano un cuscino comodissimo ed un telo mare che appare e scompare a seconda della necessità.

Io ho previsto che il telo mare fosse proprio attaccato alla borsa e che fosse sufficiente arrotolarlo per riporlo, ma volendo si può fare una variante e farlo staccabile in modo da poterlo usare oltre che per sdraiarsi anche per asciugarsi.

Il progetto di base è quello della federa dei cuscini a cui, prima di assemblarla ho attaccato le tasche ed i manici, ma non mi dilungo troppo sulle spiegazioni perché su UnaDonna.it ho pubblicato il video tutorial per realizzarlo.


Provateci con i tessuti dell’Ikea, quelli belli resistenti!

A presto!






lunedì 8 luglio 2013

101 cose su di me... settima puntata


Le vacanze sono iniziate ed io proseguo con il mio appuntamento settimanale con le 101 cose del linky party di Alex.
Ecco i miei dieci punti di questa settimana:

61    ho sempre odiato le feste dell’ultimo dell’anno perché non mi piace essere obbligata a festeggiare

62     ho letto tutti i libri di Harry Potter

63     Mi addormento quasi tutte le sere sul divano prima delle dieci

64     Al matrimonio di due amici ho fatto un po’ di foto ufficiose che poi ho regalato loro, da lì hanno cominciato ad arrivare richieste da ogni amico che si sposava e così io e la mia amica Sara abbiamo fatto foto ad una cinquantina di matrimoni, senza farci pagare e mettendo in conto agli sposi solo il materiale (tanto erano amici e dovevamo far loro il regalo in quanto invitate). Credo che ci abbiano odiato tutti i veri fotografi del giro, ma anche i parroci delle chiese perché non avevamo frequentato il corso per fare le foto sull’altare, però i risultati erano eccellenti.


credits: Pittarellorosso
65     I miei piedi sono aumentati di un numero dopo ogni gravidanza


66     Quando avevo dieci anni mi hanno regalato una macchina da scrivere elettrica usata, ho cominciato ad imparare copiando un libro: I ragazzi della via Pal. Da allora non ho mai smesso di scrivere.

67     Ho il pollice nero e faccio morire anche le piante grasse



credits: Honest cooking
68     Non riesco a partire al mattino se non bevo il tè

69     Non riesco a stare seduta a guardare la televisione senza avere in mano qualcosa da fare, in genere lavoro a maglia, ma va bene qualunque cosa

70     Non faccio tutto (così smettono di chiedermi come faccio a fare tutto)

Le puntate precedenti le trovate qui

lunedì 1 luglio 2013

Il camino di Santiago, percorso tra spiritualità, arte e natura

Qual è stata la vacanza che ha lasciato un segno indelebile nella vostra vita?
Io non ho dubbi, per me è stato il pezzo che ho fatto del camino de Santiago.
Si tratta un pellegrinaggio che porta ad attraversare il nord della Spagna dai Pirenei a Santiago di Compostela in Galizia, si può fare a piedi, in bicicletta o a cavallo ed è un’esperienza davvero unica che secondo me tutti dovrebbero provare almeno una volta nella vita.
Come dicevo io non sono riuscita a percorrerlo tutto a causa di una brutta infiammazione ad un ginocchio che mi ha costretto a fermarmi dopo circa 350 km; mi piacerebbe davvero rifarlo, magari con i miei bambini, prendendomi tutto il tempo che ci serve, senza alcuna fretta e senza nessun appuntamento.
Se qualcuno di voi conosce persone che hanno compiuto questo pellegrinaggio sarà d’accordo con me nel dire che chiunque torna cambiato; è un esperienza che va dritta al cuore e che in un modo o nell’altro modifica la propria visione della vita e di se stessi. Un detto del camino è : “Non sei tu che fai il cammino, è il cammino che fa te”.
Se decidete di partire vi consiglio di partire con la preparazione qualche mese prima, non serve fare chissà cosa, basta camminare, possibilmente con le stesse scarpe e lo stesso zaino (stesso peso) che si avranno durante il pellegrinaggio.
Sul sito pellegrinando potrete trovare tutte le informazioni pratiche che vi possono servire tranne una! Si tratta di un piccolo segreto che ci ha rivelato l’hospitalera italiana del rifugio dei cavalieri di Malta di Cizur Menor. Quado siamo arrivate, io e la mia amica Sara, avevamo i piedi devastati dalle vesciche (ampollas) ed eravamo davvero depresse per questo; questa donna della quale non ricordo il nome (ricordo solo che era di Cinisello Balsamo) ci ha spiegato come trattare i piedi per evitarle e da quel giorno non ne abbiamo più avute.
Il trattamento è molto semplice: ad ogni sosta si devono togliere le scarpe e le calze, asciugare con cura i piedi e, prima di indossare un paio di calze perfettamente asciutte spalmarli con qualche sostanza emolliente che ostacoli lo sfregamento contro la calza. E sapete quel è la sostanza più accessibile con le caratteristiche giuste? Il Vix vaporub! Ebbene sì, due pazze sul camino del 2005 si massaggiavano i piedi con il vix, però devo dire che in pochi ci guardavano strano.
Leggete le mie altre informazioni sul sito di UnaDonna.it e partite se appena potete, mi ringrazierete!
Vi lascio con una poesia scritta sul muro di una vecchia fabbrica a Najera, proprio accanto alla strada che percorrono i pellegrini:

Polvere, fango, sole e pioggia, è il cammino di Santiago.
Migliaia di pellegrini, e più di migliaia di anni.

Pellegrino chi ti chiama? Quale forza oscura ti attira?
Non il cammino delle stelle, né le grandi Cattedrali.

Non la selvaggia Navarra, né il vino dei Riojani,
né i frutti di mare galleghi, né i campi della Castiglia.

Pellegrino chi ti chiama? Quale forza oscura ti attira?
Non la gente del cammino, né gli usi rurali.

Non la storia e la cultura, né il gallo della Calzada,
né il palazzo del Gaudì, né il castello di Ponferrada.

Tutto questo vedo passando e vederlo è una gioia,
ma la voce che mi chiama è molta più profonda.

La forza che mi spinge, la forza che mi attira,
non so spiegarla neanche io, solo chi arriva lo sa.

Eugenio Garibay



A presto e Ultreya!

101 cose su di me... sesta puntata


Bella l’idea delle mie colleghe 101iste di raggruppare le 101 cose su di me del Linky party di Topogina per temi, mi sarebbe piaciuto farlo, ma visto che ho iniziato diversamente continuo saltellando da un argomento all’altro e dandovi un assaggio veloce di un po’ di tutto. da buona milanese vi offro un aperitivo, per il resto mi sa che vi tocca continuare a seguire le mie storie sul blog.

1.      Devo stare lontana dalle librerie perché nell’acquistare libri non ho misura

2.      Quando ero piccola mio papà mi portava nelle gallerie d’arte ed ai vernissage ed io mi sentivo grandissima, ma erano attività che ai miei compagni non interessavano e quindi non potevo nemmeno vantarmi. Adesso porto i miei bambini al museo

3.       Da piccola volevo fare la cartolaia oppure la maestra oppure la stilista

4.       A dodici anni ho cominciato a disegnare il mio abito da sposa e ho continuato fino a che non mi sono sposata. Il mio vero abito da sposa l’ho fatto disegnare da un’altra persona

5.       Prima dell’anno scorso non avevo mai cucito niente

6.      Se non ci fosse mio marito che mi aiuta in casa non potrei nemmeno pensare di avere un blog

7.       Non sopporto che si anteponga l’ideologia all’osservazione diretta della realtà

8.      Odio fare i controlli delle spese sul conto corrente e mi viene l’ansia ogni volta che ne parliamo

9.      Doso con cautela le serie televisive che seguo perché se inizio ne divento dipendente (questa primavera sono stata dipendente solo da Scandal, Once upon a time, touch, criminal minds e mi pare basta), adesso sono in decompressione perché ci si è fulminato il decoder (o il cavo satellitare, non penso il satellite) e aspettiamo il tecnico da una settimana

10.   I miei figli ogni tanto mi offrono delle perle di saggezza che mi fanno morire dal ridere, ma mi sforzo di essere seria per non offenderli. Se proprio non riesco a trattenermi rido e dico loro che mi è venuta in mente una barzelletta, loro vogliono sapere quale e io, che le conosco solo sporche (SIG! Ho fatto la scuola per geometri e poi ingegneria che barzellette volete che sappia) racconto sempre quella del fantasma formaggino.
A presto!
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