mercoledì 12 settembre 2012

Primo giorno di scuola


Oggi iniziano le scuole.
Il primo giorno di scuola, anche dopo tanti anni, è sempre un’emozione; lo era quando ci andavo da studentessa e lo è ritornandoci da professoressa. Sono una di quelle persone, poche credo, che amavano andare a scuola e che, da un certo punto in  poi dell’estate, non vedevano che finissero le vacanze per tornare tra i banchi.

Non che fossi una secchiona, anzi non studiavo nemmeno tanto in verità, ma per me, come per molti tra quelli cresciuti in una grande città, la scuola era l’unico momento di socializzazione con i coetanei, almeno fino alle medie. Quindi evviva la scuola!
E il primo giorno? Forse non molti si ricordano il primo giorno in assoluto di scuola, la prima volta in prima elementare; io sì, è stampato indelebile nella mia mente come uno dei peggiori incubi che si possano vivere, e sicuramente se lo ricorda mio papà al quale non manco mai di rinfrescare la memoria.

Già perché tutti gli anni, il primo giorno di scuola, gli telefono e gli ricordo che cosa mi ha combinato il 18 settembre 1977! (e poi dicono che le donne non dimenticano…)
Siete curiose?

La storia ha inizio nel giugno del 1977, l’asilo finisce e io vengo portata dalla nonna paterna (era lei che aveva l’ultima parola su tutto, almeno nei miei ricordi) in un negozio, forse l’Upim, ma potrei sbagliare, per comprare la cartella e l’astuccio per andare alle elementari. Ero la nipote più grande, quindi che qualcuno avesse cartella e astuccio in casa costituiva un evento ed il primo passo verso la maturità. Viene scelta per me, non da me ma questo non era un grosso problema, un’accoppiata cartella/astuccio di cuoio da spavento; la cartella era di quelle rettangolari con i ganci di metallo per chiuderla e anche gli spallacci di cuoio agganciati con delle specie di moschettoni. Insomma una di quelle cartelle nate per durare almeno cinque anni se non di più.
Dopo l’acquisto l’astuccio viene messo nella cartella e la cartella viene riposta nell’armadio in camera dei genitori dove io, almeno una volta al giorno, andavo a visionarla (e adorarla) di nascosto. Praticamente una tortura cinese che se noi infliggessimo ai nostri figli questi non esiterebbero a chiamare il telefono azzurro.

Arriva settembre e con esso il fatidico primo giorno di scuola. Non so come succeda adesso, ma ai tempi, alla Dante Alighieri di via Mac Mahon (per tutto il corso delle elementari non sono riuscita a capire se andavo alla Dante o alla Mac Mahon, ma preferivo la Dante perché l’altra era difficile da scrivere) i genitori non angosciavano le segreterie per sapere in anticipo in che classe, con che maestra, con quanti e quali compagni, a che piano e con che bidello sarebbe stato il figlio; non venivano fatti inserimenti, accompagnamenti, accoglienze, presentazioni e quanto altro. Il primo giorno di scuola funzionava più o meno così: si andava in palestra, c’era la riga di mezzeria del campo di palla a mano, da una parte le maestre, dall’altra i bambini con un genitore (non la mamma, il papà, la nonna, lo zio ed il cugino con la videocamera). In mezzo il direttore con gli elenchi. Il bambino veniva chiamato, passava dall’altra parte della riga e, a classe completata, seguiva la maestra in classe.
Diciamo che probabilmente sarebbe andato tutto bene se ad organizzare il mio primo giorno ci fosse stata la mamma; sfortunatamente la mamma era a letto con la broncopolmonite e il tutto è passato a gestione paterna, e qui il dramma. Il mattino del 18 settembre 1977 alle ore sette e trenta, dopo tre mesi di relazione segreta con astuccio e cartella, mi viene comunicato che il primo giorno di scuola si va senza cartella, perché tanto non si fa niente e quindi la cartella non serve. Immaginatevi.

Purtroppo noi bambini degli anni settanta non eravamo ancora avvezzi al capriccio o forse erano i genitori degli anni settanta che non lo erano; comunque, sapendo in anticipo che il capriccio non avrebbe funzionato, accetto la situazione e mi adatto. D’altra parte mio papà ci è andato a scuola, e pure per tanti anni, saprà quello che dice no?
Per arrivare alla palestra della Dante occorreva percorrere tutto il giardino, dalla strada sul retro del maestoso edificio ottocentesco, circa un paio di centinaia di metri in tutto. Io ho percorso quei duecento metri osservando prima, cercando poi, pregando alla fine. Ho fissa nella mente ancora l’immagine di quella massa di bambini con cartella che mi precedevano, cartelle di tutte le forme e colori, cartelle che camminavano verso la palestra, cartelle da tutte le parti. Credo di aver analizzato ogni singolo bambino quella mattina (e tenete conto che eravamo nove sezioni da trenta bambini) ogni essere con grembiule di altezza inferiore al metro e trenta aveva una cartella sulle spalle, tutti tranne la sottoscritta. Dal mio punto vista ero stata sottoposta ad un suicidio sociale forzato, credo di non essermi mai più sentita tanto inadeguata in tutta la mia vita.

L’unica cosa che poteva ancora consolarmi era la consapevolezza che tutti si stavano portando una cartella sulle spalle inutilmente, il papà l’aveva detto che il primo giorno di scuola non si fa niente no?
Bene, arriviamo in classe, prendiamo posto e la maestra  Giovanna Esposto dice: “Prendete foglio e matite e fate un disegno!” Ecco. Poi dicono che una ha gli incubi per tutta la vita e sogna che gli manca qualcosa!

Fortunatamente la mia compagna di banco, come più della metà dei bambini della classe, piangeva disperata per essere stata abbandonata dalla mamma a quella sconosciuta della maestra. In effetti la classe era divisa tra quelli che avevano già fatto tre anni di asilo, tra i quali la sottoscritta, che non piangevano e che guardavano esterrefatti l’altra parte della classe composta da bambini che fino al giorno prima erano stati a casa con la mamma e che piangevano disperati.
Insomma la mia compagna piangeva e io ho avuto la prontezza di chiederle: “Visto che piangi e non disegni mi presti foglio e astuccio?” Così ho salvato capra e cavoli prima che la maestra scoprisse che ero senza cartella.

Ovviamente un’esperienza traumatica come questa non poteva non avere le sue belle conseguenze e c’è chi sostiene che la mia scelta di votarmi all’insegnamento sia una sorta di catarsi; senza scomodare i greci, comunque, ditemi voi se ho torto o meno a pensare che i seguenti miei comportamenti deviati siano da attribuire a questo episodio:
1)      Prima di partecipare a qualche evento particolare cerco di capire come sono vestiti gli altri partecipanti (se non ne ho la possibilità obbligo mio marito a vestirsi sullo stile che scelgo io).
2)      In vacanza parto sempre con valigie enormi con abiti per tutte, ma proprio tutte le evenienze (dalla spiaggia alla montagna, dalla spesa al red carpet) più qualcuno di sicurezza.
3)      Quando abbiamo avuto il terremoto (il nostro piccolo locale 4.2 con epicentro a 100 m da casa nostra) mi sono tranquillizzata solo dopo aver preparato una valigia con cambio completo e maglioni per tutta la famiglia.
4)      Non sono in grado di uscire di casa senza borsa o con borse minuscole, la mia borsa deve sempre contenere i basilari:

1.       Portafoglio con documenti e CF miei e dei bambini
2.       Cellulare con carica batterie
3.       Occhiali da sole anche se piove perchénonsisamaichepoiescailsole
4.       Astuccio medicinali base (saridon, dissenten, aspirina, citrosodina)
5.       Fazzoletti di carta
6.       Tovagliette copri water
7.       Liquido disinfettante per le mani
8.       Cicche
9.       Foulard per il collo soprattutto contro l’aria condizionata
Più alcuni stagionali come anti zanzare e crema solare d’estate e stelline per scaldare le mani e guanti d’inverno.

Ovviamente i miei figli, per il primo giorno di scuola hanno le loro belle cartelle nuove di zecca (qui e qui) ed i loro astucci anche se non richiesti (qui). Io andrò a scuola domani (mercoledì libero) con il mio bel borsone pieno di tutto il necessario e anche di più e per ogni evenienza oggi mi sono già fatta consegnare il registro che ho già riposto nel mio cassetto insieme ad una penna.
a presto!

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