La copertina del libro |
Ho letto un libro bellissimo e lo voglio condividere con
voi. Non ho mai scritto la recensione di un libro e non intendo cominciare
adesso, voglio semplicemente parlarvi di una storia vera, scritta dalla donna
che l’ha vissuta e che mi ha coinvolto tantissimo.
Si tratta di “Un milione e ottocentomila passi” sottotitolo “Io, il mio bambino e il Cammino
di Santiago” di Elisabetta Orlandi.
A questo punto quelle di voi, la maggior parte suppongo, che sanno già che io
sono fissata con il Cammino di Santiago
ha il mio permesso di allontanarsi, mi dispiace, forse sembra che io scriva
sempre di quello, non so che fare, ce l’ho in testa e ce l’ho nel cuore,
rassegniamoci.
Ma torniamo al libro. Elisabetta è una ragazza di Verona che
nel 2006 ha deciso di intraprendere il pellegrinaggio verso Santiago de
Compostela insieme al suo bambino di
otto anni Johann; nel libro racconta la storia di questa avventura
straordinaria vissuta con semplicità e gratitudine per ogni cosa, bella o
brutta, affidando ogni suo passo ed ogni passo del suo bambino a Él de arriba.
Per chi come me è stato sul Cammino, è una storia in cui si
racconta, come attraverso delle
fotografie, di posti che si conoscono, di luoghi in cui ci si è fermati, in
cui abbiamo mangiato, dormito, pianto per il dolore o sorriso per un fiore nel
campo. Un racconto in cui conosci già i luoghi in cui i due protagonisti stanno
per arrivare prima ancora che lo sappiano loro e mentre lo leggi vorresti
urlargli i tuoi consigli: “attenta, prendi l’acqua che nel prossimo pueblo la fuente non è potabile!” oppure: “mettigli il vix vaporub a quei bei
piedini, non fargli venire le vesciche!”, “non fermarti a Burgos, tira
avanti!”. Insomma davvero qualche cosa di coinvolgente.
La Meseta tra Burgos e Hontanas |
E poi ci sono tutti gli elementi in cui ogni pellegrino potrà riconoscersi e che forse sono gli aspetti che attirano tutti gli altri su questo mistico percorso. Ci sono gli amici (angeli) che si trovano lungo la strada e poi si perdono per ritrovarsi più avanti, o forse mai più (come nella vita). C’è la zavorra che ci trasciniamo sulle spalle, tutto ciò che ci sembra indispensabile e che dopo due soli giorni di cammino diventa un pacchettino da rispedire a casa o regalare a chissà chi. C’è la natura in cui si cammina e che ci fa sentire dei disadattati ogni volta che si rimette piede in una città, la natura che ci fa essere parte di essa e che ci sembra il dono più bello che Qualcuno potesse farci:
“…Poi, l’obiettivo
indugia su un’esile pianta d’avena selvatica, cresciuta sul ciglio della
strada, e ritrae un istante di pura bellezza: la perfetta composizione del
fusto sottile e dei rami delicati, le spighette appese come fragili
decorazioni, il contrasto tra il suo brillante colore smeraldino e l’oro del
campo sullo sfondo. Sarà il mio gioiello di oggi, un piccolo capolavoro di
equilibrio ed eleganza che indosserò con lo sguardo e restituirò al mondo sotto
forma di sorriso.”
La sottoscritta a Tardajos |
E poi c’è la meta finale, ma forse la vera meta è il cammino stesso.
“Camminare, mettere un piede dopo l’altro,
banalmente, e dirigersi verso una meta: però questo Cammino mi porta verso il
mio proprio centro, si spinge all’interno, verso l’anima, il cuore. Lì non c’è
mappa che valga, non c’è guida che conosca la strada e mi indichi dove si trova
il rifugio, la fonte d’acqua, il cibo. Lo devo trovare da sola. Magari non sarà
un viaggio piacevole, o facile. Ma adesso, per me, è irrinunciabile, anche se
non ho ancora capito perché.”
Arrivo alla Plaza de Obradoiro davanti alla Cattedrale di Santiago |
Aggiungo infine che io ho letto praticamente ogni pagina con
grande commozione e, in alcuni casi, le lacrime agli occhi. Sono innamorata del
Cammino, sapete che io l’ho cominciato e ho dovuto interromperlo ad Hontanas
per motivi di salute, ma da allora ed uno dei miei più grandi desideri è
poterlo fare fino in fondo, poterci tornare non appena le condizioni familiari
lo permetteranno. Per ora i miei bambini sono piccoli, ma ho sempre desiderato
percorrerlo con loro, se vorranno accompagnarmi; pensavo di dover attendere che
avessero una quindicina d’anni, ma il grandissimo Johann e la sua mamma mi
hanno fatto riconsiderare tutta la faccenda!
Ultreya!
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